Il Wi-Fi del D-Day 2007. Incontrollato

22/11/2007 12:00 CET

di Fabio M. Zambelli

00000a_fotonews001In ogni caso non funziona. O perché la legge è limitativa e completamente inutile o perché inapplicabile/inapplicata in un paese che non rispetta le leggi e dove nessuno le controlla.

In ogni caso non funziona. O perché la legge è limitativa e completamente inutile o perché inapplicabile/inapplicata in un paese che non rispetta le leggi e dove nessuno le controlla.
 
Dada si pregia di essere una delle più importanti società italiane che operano sul web, tra le prime 15 per il social networking accanto a nomi come MySpace e Facebook.
 
Chi non frequenta le comunità online avrà notato questo nome in ogni messaggio di Register.it, che vi riempie la casella di posta elettronica, chiedendo di registrare il dominio per il vostro sito.
 
Ieri a Milano è andato in scena il D-Day 2007 per parlare di comunicazione e di informazione su Internet, dell'evento c'è poco da dire perché i molti invitati hanno raramente raccontato qualcosa di veramente innovativo. In compenso a domande pratiche su come funziona l'informazione italiana su Internet i protagonisti hanno sviato proteggendo le loro rispettive fortezze con tanto di fossato tutto attorno.
 
C'erano (da sinistra a destra): Marco Montemagno (moderatore – giornalista SkyTG 24), Peter Kruger (consulente Ministero Comunicazioni), Carlo Verdelli (direttore Gazzetta dello Sport), Kay Rush (conduttrice radiofonica e scrittrice), Bruno Mobrici (giornalista TG1 in sostituzione dell'assente Gianni Riotta), Lilli Gruber (europarlamentare e scrittrice), Massimo Mantellini (blogger), Marco Pratellesi (direttore Corriere.it), Antonello Perricone (amministratore delegato RCS Group) e Paolo Barberis (fondatore Dada).

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Pare che tutto l'evento sia anche stato trasmesso in diretta sul sito
di Corriere.it ma o il link era ben nascosto oppure non c'è stato
alcuno streaming. Di sicuro c'è l'assenza della segnalazione da parte di Dada, sul sito del
D-Day 2007.
 
Archiviata la delusione, questo è stato un ennesimo esempio per verificare quanto sia strano il nostro Paese.
 
Smetteremo di criticare da queste pagine come funziona il Wi-Fi pubblico in Italia quando qualcuno avrà l'illuminazione di modificare la legge "anti-terrorismo" vigente, che impedisce di accedere alla rete in modo semplice e comodo senza dover dimostrare la propria identità.
 
Ancora una volta, città ben più colpite dal terrorismo delle nostre (come New York City e Londra), forniscono accesso libero al Wi-Fi, ben diffuso, ben funzionante e spesso gratis.
 
Ebbene in Italia, ove ci sono reti wired o wireless accessibili a sconosciuti, gli interessati devono mostrare un documento, qualcuno deve fotocopiarlo o prenderne nota, deve essere fornito un codice segreto per l'identificazione e il database del sistema registrare i log per un eventuale accertamento delle autorità.
 
Nel caso del D-Day 2007 bisognava registrare la propria partecipazione in anticipo sul sito apposito (noi lo abbiamo fatto 3 giorni prima) ed indicare se si era interessati all'accesso a Internet.
 
All'accredito il nostro nome non era in elenco e tanto meno la richiesta dell'accesso a Internet. Le addette hanno proceduto a scrivere a mano su un pezzo di carta nome, cognome e società. Senza chiedere documenti o tessera dell'Ordine dei Giornalisti. Abbiamo fatto richiesta dell'accesso alla rete Wi-Fi e ci è stata consegnata la busta (aperta, quindi con password leggibile da chiunque, prima di noi) che vedete sotto.
 
I codici hanno funzionato regolarmente e dalla sala della conferenza si poteva avere l'accesso a Internet da laptop o smartphone.
 
Allo stato delle cose allora qualcuno dovrebbe prendere la situazione in mano e decidere che tale anacronistica legge è totalmente ignorata, o per ignoranza o per indifferenza, senza parlare della mancanza del controllo. Eliminiamola e basta, come effetto collaterale rischiamo solo di metterci allo stesso piano di paesi molto più evoluti dell'Italia.

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