L’iPod coinvolto nei (soliti) abusi cinesi sui lavoratori

14/06/2006 09:00 CET

di Fabio M. Zambelli

00000a_fotonews001Domenica un ottimo reportage inglese scopre come si lavora nelle fabbriche cinesi che costruiscono alcuni iPod. Si lavora male. Scoperta l'acqua calda? Ma tutti gli altri che fanno assemblare in Cina come si comportano? Uguale.
L'edizione nelle edicole di domenica scorsa del secondo più popolare quotidiano londinese (dopo il Sun) Daily Mail, The Sunday on Mail, ha pubblicato un'interessante inchiesta intitolata "iPod City".

In attesa di avere delle conferme di prima mano (visto che l'articolo non è reperibile online), ci basiamo su quanto riassume l'edizione inglese di Macworld ed altre fonti britanniche.

I reporter inglesi si sono recati a LongHua Town BaoAn, Shenzhen GuangDong in Cina dove ha sede la fabbrica principale di Foxconn (la più grande corporation privata taiwanese conosciuta con il nome locale Hon Hai Precision Industry). Apple da anni si serve degli impianti di questa azienda per assemblare svariati prodotti, attualmente iPod e Mac mini.

In questo enorme impianto cinese lavorano 200.000 addetti, una popolazione superiore a quella dei residenti di Newcastle, come fa notare il tabloid inglese.

I giornalisti hanno visitato la fabbrica "E3" da cinque piani dell'iPod nano (circondata da filo spinato e guardie armate, normalmente offlimits per gli esterni) e intervistato i lavoratori (assolutamente inavvicinabili e comunque reticenti), i quali vivono in dormitori da 100 posti ciascuno, sono occupati negli impianti per 15 ore al giorno e guadagnano 27 sterline al mese (meno di 40 euro).

Più "ricche" le colleghe che lavorano a Sunzhou, Shangai dove si assemblano per Apple i 400 componenti "multinazionali" degli iPod shuffle, dato che guadagnano ben 54 sterline al mese (79 euro) ma dove non hanno assicurato alloggio e cibo, il che riporta più o meno agli stessi livelli di Shenzhen il salario. In questa fabbrica una guardia ha fatto sapere che sono impiegate solo donne perché più oneste degli uomini.

Un lavoratore racconta: "lavoriamo tantissimo, è come se fossimo nell'esercito, dobbiamo stare in piedi per ore e se ci muoviamo veniamo puniti stando in piedi ancora più a lungo".

Foxconn non si distingue in modo particolari da altre aziende cinesi per i diritti umani da applicare ai lavoratori, Apple non si distingue in modo particolare da altre aziende occidentali quando si tratta di pagare il meno possibile i contractor asiatici che assemblano per loro i prodotti.

Dov'è lo scandalo? Aprire gli occhi è doloroso ma non mostra un panorama molto più nuovo di quanto già visto.

Tutti i maggiori marchi occidentali fanno costruire, assemblare, cucire, stampare, etc. i propri prodotti in Asia. Ricordiamo che la stessa Ferrari, marchio numero uno del made in Italy e diretta dal presidente di Confindustria, fa produrre la propria linea di abbigliamento in Bangladesh, Cina e Romania per spendere il meno possibile, non fare caso troppo alla qualità ed avere margini di guadagno elevati.

Un abuso è però sempre un abuso, chiunque ci cada dentro, volontariamente o no. Cominciare dal prodotto famoso iPod e poi fermarsi e non aver mai indagato su chi fa le scarpe sportive, chi i palloni, chi le magliette e i pantaloncini da football (giusto per restare sull'attualità dei Mondiali di Germania 2006) è semplicemente ipocrita.

Si legge nel "codice di condotta dei fornitori" (52 KB) di Apple che l'azienda di Cupertino non tollera le violazioni delle proprie regole e conferma che gli addetti coinvolti da terzi lavorano, rispettando l'ambiente, in modo sicuro oltre ad essere trattati con rispetto e dignità. Ogni contractor deve rispettare queste richieste di Apple in base a standard internazionali.

Apple fa sapere che, comunque, in seguito all'apparizione dell'articolo, sta provvedendo ad investigare la situazione.



setteB.IT – la settimana digitale vista dall'utente mac