La censura online a 298 giorni da Pechino 2008

15/10/2007 07:00 CET

di Fabio M. Zambelli

00000a_fotonews001I diritti alla libera espressione non hanno ancora tagliato il traguardo nel paese che si appresta ad ospitare le olimpiadi del 2008.

I diritti alla libera espressione non hanno ancora tagliato il traguardo nel paese che si appresta ad ospitare le olimpiadi del 2008.
 
A meno di 300 giorni dall'apertura dei giochi olimpici RSF – Reporters Sans Frontieres rinnova le accuse alle autorità cinesi per la censura di Internet.
 
Di più, la Cina è riuscita a far veicolare la propaganda nazionale attraverso il web, invece che lasciare la libertà di pensiero a tutti gli utilizzatori di Internet.
 
Secondo l'indagine effettuata "sul campo" da RSF e Chinese Human Rights Defenders sarebbero decine di migliaia i censori che il governo cinese ha messo al lavoro per mantenere il controllo sulle informazioni che arrivano o escono dal grande paese asiatico. Tre gli enti governativi che sono all'opera: Bureau of Information and Public Opinion, l'Internet Bureau e Internet Propaganda Administrative Bureau. In particolare Beijing Internet Information Administrative Bureau ha sede a Pechino e rilascia le licenze per i siti commerciali ma non autorizza alla pubblicazione delle notizie.
 
Il report "Journey to the heart of Internet censorship" scritto dall'esperto di reti che si deve nascondere dietro al nome di Mr. Tao è disponibile online (408 KB).
 
In Cina il 12,3% della popolazione (162 milioni di persone) ha accesso alla rete "addomesticata" Internet, sono online 1,3 milioni di siti cinesi ed il 19% degli utenti Internet ha aperto un blog personale.
 
Quando dai filtri "scappano" notizie non gradite al governo gli enti preposti intervengono imponendo multe, richiedendo il licenziamento del diretto responsabile o addirittura facendo chiudere parte o l'intero sito in questione.
 
Nel 2006 il sito NetEase si azzardò a chiedere: "rinascendo scegliereste di nascere ancora cinesi?". I numeri del sondaggio rivelarono che tra 10.000 rispondenti il 64% scelse "no". Un'intera sezione del sito venne messa offline nel giro di poche ore.

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